Nel clima pesante di un'Italia attraversata
da proteste e scontri e costellata dai tetti occupati di università, stazioni,
monumenti e strade, lo scorso 23 dicembre è stata approvata al Senato la
contestatissima riforma dell'Università proposta dal Ministro Mariastella
Gelmini.
Lo scenario in cui la riforma si è inserita è
quello di un'Italia con 95 atenei con più di 326 sedi distaccate, 327 facoltà
con soli 15 iscritti, 37 corsi di laurea con uno studente. Molti gli atenei
famosi per i troppi soldi spesi che hanno lasciato a Siena, Firenze, Bari,
Cassino e Trieste clamorosi buchi di bilancio. A Messina il 40% dei professori
ha un omonimo in altre università della regione, a Napoli siamo al 35% , a Roma
al 30%. A Palermo, nella facoltà di Medicina, 58 docenti sono imparentati tra
loro.
La riforma
Gelmini si presenta proprio come una dichiarazione di guerra al sistema di
"parentopoli", indubbiamente dilagante nell'Università italiana. Allo stesso
tempo è stata annunciata come una lotta agli sprechi, un'occasione per fornire
maggiore autonomia all'università a fronte, però, di una forte responsabilità
finanziaria a cui gli atenei dovrebbero far fronte attraverso un sistema di sponsor.
Cerchiamo,
a questo punto, di capire meglio le novità introdotte dalla legge, positive o
negative che siano.
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